LA VIOLENZA SULLE DONNE: DATI E POLITICHE IN ESSERE. UN FUTURO DI LIBERTÀ POSSIBILE?
Tavola rotonda del 4 novembre 2017
In questa giornata è stato affrontato il tema “La violenza sulle donne: dati e politiche in essere. Un futuro di libertà possibile?”. Sono intervenute alcune tra le maggiori esperte del tema a livello nazionale ed internazionale: Alida Castelli- Rappresentante della Piattaforma CEDAW, Maria Giuseppina Muratore- Rappresentante dell’ISTAT, Maura Misiti, esperta del tema e studiosa del CNR, Antonella Petricone- Vice Presidente di BE FREE e Rappresentante della Rete Non una di meno, Debora Corbi- Capitano dell’Aeronautica Militare e prima donna ad essere entrata nelle Forze Armate Italiane.
Alida Castelli- Rapporto CEDAW
Alida Castelli apre la tavola rotonda spiegando cos’è il RAPPORTO CEDAW: l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) da oltre 30 anni e deve presentare Rapporti periodici circa la sua implementazione.
La Piattaforma italiana che ha redatto il rapporto “ombra” CEDAW, è formata da oltre 26 organizzazioni di donne e singole esperte presenti sul territorio nazionale (vi aderiscono le organizzazioni sindacali a livello nazionale, le associazioni di donne sono quasi tutte presenti e in più gli esperti e le esperte sul tema) ha contribuito attivamente all’individuazione delle criticità contenute nel VII Rapporto periodico dell’Italia sulla CEDAW e le ha poste all’attenzione del Comitato per l’applicazione della CEDAW.
L’ONU ha previsto di dare un’opportunità alle organizzazioni non governative nazionali, di presentare un Rapporto ombra alternativo a quello del Governo. Alternativo perché una volta approvato dai Governi i loro Rapporti le organizzazioni della società civile possono validare o contestare le conclusioni cui i Governi sono pervenuti. La Piattaforma “Lavori in corsa” ha elaborato questo Rapporto Ombra che è stato consegnato al Comitato CEDAW nel giugno 2017, nel quale, a partire dal rapporto del Governo italiano, sono state messe in luce criticità, inadempienze, omissioni e formulato raccomandazioni per migliorare la condizione delle donne nel nostro Paese tra cui il lavoro, i servizi, la violenza sulle donne, e la rappresentanza di genere nelle istituzioni.
Non si parla solo di violenza, ma nell’ottica anche della Convenzione di Istanbul, si afferma che uno degli obiettivi è quello di contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione ” di genere de jure e de facto come elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne”
I temi trattati sono molti di più infatti, della sola violenza, perchè all’interno della violenza rientra il diritto al lavoro, l’accesso alla salute, gli stereotipi che ancora nel nostro Paese incidono negativamente ancora molto.
La prima cosa che la Piattaforma ha evidenziato è che le politiche di austerità degli ultimi anni hanno colpito pesantemente il sistema sanitario, il mercato del lavoro e hanno reso ancora più evidenti e pesanti le differenze tra nord e sud.
Su una media nazionale del 46-47% di donne presenti nel mercato nel lavoro (siamo l’ultimo paese in Europa per tasso di occupazione femminile) la percentuale di donne lavoratrici al sud si attesta intorno al 30% e al nord sfiora il 50%.
Quando parliamo di percentuali ci rendiamo inoltre conto come sia difficile trovare dati che distinguano quali sono gli uomini e le donne, e qui si apre il problema dei dati in ottica di genere che dovrebbero essere uno standard per le rilevazioni e per la loro restituzione: ma in italia non è ancora così.
Ed ancora nel Rapporto ombra si evidenzia come abbiamo un ulteriore problema: l’Italia ha delle buone leggi che però non vengono applicate, e che molto spesso non vengono monitorate.
Il nostro Rapporto Ombra seguendo lo schema della convenzione CEDAW ha trattato al primo punto i meccanismi istituzionali a difesa delle pari opportunità e dei diritti umani in generale. Su questo aspetto il Comitato ha evidenziato negativamente che l’Italia non ha un vero Ministero delle Pari Opportunità, che i finanziamenti per le istituzioni per la promozione delle pari opportunità e contro le discriminazioni (specialmente nel lavoro) soo esigui e nel Job Act si è pensato anche di depotenziare le Consigliere di parità che sono figure istituzionali a livello territoriale per combattere le discriminazioni e dovrebbero farlo a mani nude, cioè gratis!
Altra questione importante, ripresa nelle raccomandazioni al nostro Governo è la parte della legge in vigore dal 2010 nel Codice delle pari opportunità al primo articolo che prevede che ogni legge, ogni atto amministrativo, iniziativa pubblica, deve avere preliminarmente la valutazionedell’impatto di genere degli atti: come funzionerà questa legge, non per cittadini neutri ma per gli uomini e per le donne.
Il comitato ha apprezzato molto il nostro rapporto ombra e nelle sue raccomandazioni ha inserito questi punti critici che citavo per il nostro Governo.
Il prossimo Rapporto sarà per tutti i paesi del mondo tra 4 anni, mentre il nostro Governo dovrà dare una risposta scritta su come ha risoltoalcuni temi tra due anni tra cui il problema del depotenziamento degli organismi istituzionali di parità.
Ultimo vulnus: i governi hanno l’obbligo di diffondere questa Convenzione, di parlarne con le donne ma prima ancora hanno l’obbligo di tradurla. Noi abbiamo scritto ai Presidenti di Camera e Senato, ai gruppi parlamentari, dicendo loro che sono passati 100 giorni e non abbiamo ancora un documento tradotto. Abbiamo inviato la nostra che non è però una traduzione ufficiale.
Inutile sottolineare infine che le associazioni che hanno esposto a Ginevra il nostro Rapporto, che lo hanno redatto, tradotto, e lo diffondono, hanno lavorato in maniera volontaria, facendo rete, senza nessun riconoscimento o finanziamento governativo (come avviene invece in altri Paesi più attenti alla società civile).
Rapporto CEDAW
Maria Giuseppina Muratore- ISTAT
I dati dell’ultimo rapporto ISTAT registrano un 31,5% di donne che hanno subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Questo dato comprende la violenza fisica e sessuale e all’interno ci sono le molestie fisiche, le minacce, fino allo stupro e alla costrizione di un rapporto sessuale in cambio di denaro. Tra l’altro questo dato riguarda la cerchia che è attorno alla donna, parlandoci della violenza compiuta dal partner o dall’ex partner, a cui si aggiungono i parenti, i colleghi, gli amici. Esiste anche la violenza tra estranei ma soprattutto è forte il dato che riguarda la violenza subita da persone conosciute. Il 70% degli stupri viene compiuto da partner, ex partner ecc. Questo dato sfata il mito della violenza compiuta per strada, e anzi la riporta pesantemente nell’ambito del quotidiano.
Alla violenza sessuale si aggiunge la violenza psicologica che è quella violenza forte non vista e anche poco legiferata. Abbiamo in Italia la minaccia, la violenza privata, la diffamazione che possono essere considerati come dei reati da perseguire ma non hanno la connotazione della violenza di genere. Poi c’è lo stalking che già di più acquisisce questa connotazione e dai nostri dati risulta che questo fenomeno riguarda per il 15%-18% l’ex partner e il partner.
Il quadro è abbastanza complesso, ed è grave.
Le denunce malgrado siano aumentate restano basse, se solo consideriamo che l’11% ha denunciato il reato di violenza sessuale o fisica.
Le donne sono più consapevoli perché ritengono reato ciò che hanno subito a prescindere dal tipo di molestia, che sia una molestia uno stupro tuttavia ci sono violenze più gravi rispetto alle altre.
Ecco, un dato che registriamo è che c’è una maggiore consapevolezza della donna che è più capace di entrare meno nelle relazioni violente. Ci sono giovani donne che sono più capaci di capire se una situazione non funzione, e decidono di non entrare in quella dinamica o riescono ad uscirne più facilmente. Prevenire è importante ma anche riuscire ad uscirne.
Purtroppo in questo quadro le violenza più gravi sono stabili, non vediamo miglioramenti
mentre diminuiscono le situazioni di violenza psicologica. C’è qualcosa che cambia, che si muove.
Maura Misiti-CNR
Non a caso l’esperienza di “Ferite a morte”, che è nata da un libro scritto con un approccio nuovo rispetto al tema ella violenza e poi è diventato uno spettacolo, era collegata a quello che stava succedendo in quel momento, perché nel nostro paese c’era un attivismo da parte delle associazioni perché l’Italia firmasse la Convenzione di Istanbul.
Tutto è frutto di lotte di persone, di donne, di associazioni. Solo qualche anno fa quando si parlava di violenza sembrava che le femministe fossero delle isteriche pazze.
Quando è uscita la prima indagine dell’ISTAT nel 2006 c’è stato uno shock nazionale perché i numeri hanno dato credibilità alle associazioni femministe e di donne e conferma di quanto denunciavano da anni circa il fenomeno della violenza.
Questo spettacolo ha una straordinaria capacità narrativa di utilizzare un linguaggio popolare come quello della televisione associata ad una visione un po’ più da studiosa, insieme siamo riuscite a costruire una narrazione che finalmente si avvicinasse un po’ di più alla vita reale delle donne, non ai fiumi di sangue e ai piagnistei, né a marginalizzare l’idea delle donne che subiscono violenza presentando le donne come delle persone deboli che non avevano strumenti e che non ce la facevano a denunciare, non avevano la capacità di ribellarsi.
Le vittime parlano poco, e pochi di noi parlano direttamente con una vittima di violenza. Allora abbiamo cercato di immaginare che queste donne uccise avessero una vita dietro e che quindi il femminicidio fosse l’epilogo di una storia di violenza, di una vita. E questo ha funzionato per la capacità teatrale e di linguaggio di Serena, ma anche aver scelto l’immagine di donne felici, belle, eleganti, realizzate…in momenti meravigliosi che volano, che si tuffano. Donne restituite alla vita reale.
Come si collega questo alle politiche? Allora si collegò alla convenzione di Istanbul che è stata prima firmata e poi ratificata. Come la convenzione CEDAW si tratta di quadri internazionali, convenzioni giuridicamente vincolanti che fanno sì che i governi debbano costruire politiche in linea con le convenzioni stesse. La convenzione di Istanbul è in vigore dal 2014 e il nostro paese è obbligato a fare delle politiche di attuazione di principi della convenzione. E questo è un quadro che ci dà forza e ci consente di far parte di un gruppo di paesi che si sta muovendo nella stessa direzione.
La convenzione di Istanbul si fonda su una strategia che in comunicazione è delle 4 P: prevenzione, protezione, punizione, politiche integrate. Quattro assi che devono lavorare in maniera integrata nei termini del gender mainstreaming, termine quasi intraducibile in italiano, che indica che questo piano di intervento debba abbracciare tutti i ministeri in maniera trasversale. Questo è un principio fondamentale che sarà difficile portare avanti.
Una piccolissima notizia positiva c’è: noi abbiamo due piani nazionali antiviolenza molto nominali e poco fattuali. L’ultimo, quello decaduto a luglio, prevedeva un osservatorio e una cabina di regia. L’osservatorio comprendeva i ministeri, le Istituzioni, le associazioni ecc.
I membri di questo Osservatorio hanno lavorato mesi e mesi elaborando e discutendo dei documenti che hanno dato luogo ad una bozza di nuovo piano strategico, una nuova linea antiviolenza. Questa proposta di nuovo piano è strutturata secondo questi assi indicati dalla Convenzione di Istanbul e una struttura che consente una governance sia da un punto di vista politico che da un punto di vista territoriale attraverso delle reti. Il Piano è stato presentato il 7 settembre e stiamo tutti aspettando che entri in vigore, che diventi un piano ufficiale. Introduce delle importanti novità metodologiche, di approccio al tema della violenza.
Antonella Petricone- Be Free e Rete Non una di meno
Ringrazio innanzitutto SuLLeali per questa opportunità di incontro di cui c’è sempre tantissimo bisogno. Sono uscite già diverse informazioni importanti in questa tavola rotonda che non possono esaurire un argomento complesso come questo, ma possono dare qualche stimolo e suggestione soprattutto a chi non si è mai avvicinato a questo tema. Mi auguro che la discussione che si sta facendo in questo contesto serva a capire a che punto siamo e cosa si muove a livello politico e istituzionale ma anche fuori dagli ambiti politici e istituzionali.
Alle volte ci troviamo di fronte ad interrogativi troppo grandi da potersi risolvere in poco tempo. Da qui partiamo e cerchiamo di arrivare il più lontano possibile.
Della violenza contro le donne si parla troppo e male, la violenza viene raccontata attraverso una narrazione abbastanza standard, ne sentiamo parlare talmente tanto che ormai non ci scandalizziamo più. Questo succede quando di un fenomeno cosi grande, così complesso e invasivo, se ne parla in chiave emergenziale.
Questo è il grande mostro che noi combattiamo, ognuna nel proprio contesto di riferimento:
una narrazione convenzionale è la prima forma di violenza a cui siamo sottoposti tutti.
Nostro compito è lavorare per costruire delle politiche che possano combattere questo tipo di linguaggio perché non serve alle donne.
Oggi c’è una maggiore informazione, le strutture e gli sportelli di riferimento hanno lavorato tantissimo e costruito dei terreni favorevoli.
Ecco, un primo punto è sicuramente lavorare sulla comunicazione.
L’altro grande tema e mi aggancio alle politiche- mi dispiace che in questi contesti non riusciamo mai ad avere degli interlocutori e delle interlocutrici istituzionali- è che la politica istituzionale deve ascoltare la politica non istituzionale. Perché sul tema nessuno è più titolato a proporre strategie di contrasto alla violenza rispetto ai centri preposti che faticosamente vanno avanti ogni giorno, avendo a che fare con la vita delle donne vittime di violenza. Dico faticosamente perché spesso i centri antiviolenza vanno avanti in situazioni restrittive, e anche a Roma uno dei servizi più virtuosi è stato chiuso. Potremmo parlare in maniera molto più allargata, ma preferisco rimanere nel nostro piccolo e in quello che più ci riguarda da vicino. Ad esempio un piano anti violenza vecchio, antico, come quello attualmente in vigore, non consente di garantire ad una donna un percorso di fuoriuscita dalla violenza.
Non sappiamo cosa offrire a una donna che sta iniziando un percorso di denuncia.
La denuncia è semmai un punto di arrivo, non un punto di partenza. Tutte queste cose hanno bisogno di tempi, hanno bisogno di modalità corrette. Ed è per questo che si sta lavorando dal basso ed è per questo che bisognerebbe prendersi carico delle singole donne, delle singole storie.
Da un anno il percorso Non una di meno sta costruendo un percorso dal basso, cerchiamo di far uscire le storie, diamo volti ai numeri. Ecco, Non una di meno sta lavorando affinchè sia possa predisporre un piano anti violenza vero, che abbia a che fare realmente con le problematiche delle donne e con tutte quelle politiche che davvero devono garantire la sicurezza e il benessere delle donne.
Colgo l’occasione per invitare tutti e tutte alla grande manifestazione di piazza che la Rete Non una di meno promuove per il 25 novembre.
Debora Corbi- Aeronautica Militare
Le donne devono sempre lottare e combattere, talvolta contro le discriminazioni che sono anch’esse una forma di violenza. Se ricordiamo, negli anni ‘60 le donne entrano per la prima volta nei pubblici uffici e nella pubblica amministrazione, ma nelle forze armate, che fanno parte della PA, le donne potevano entrare solo come personale civile, non come personale militare. Io decisi di scrivere al Ministero della difesa chiedendo di essere arruolata, e sono andata avanti con le mie lettere finchè un giorno venni convocata per un esperimento volto ad avvicinare le donne alle forze armate. Considerai questa una possibilità per accendere la luce su questo divieto, e decisi di fare questo esperimento con altre donne. Eravamo in 30, un gruppo molto eterogeneo: peccato he dopo questo esperimento nulla accadde. Questo però mi diede l’input per fondare un movimento, parliamo di associazionismo femminile, che doveva come in altri casi autosostenersi e autofinanziarsi. Inoltre parliamo degli anni ‘90 e dunque c’era anche la difficoltà di fare rete perché ancora non c’era la tecnologia e gli smartphone e ci tenevamo in contatto attraverso le lettere. Grazie alla forza delle donne, eravamo un migliaio, riuscimmo a fare tanto. La nostra conquista è nata dall’unione tra le donne e la politica. All’epoca le donne che ricoprivano incarichi istituzionali erano poche, e chi ci ha aiutato sono stati gli uomini che ricoprivano ruoli chiave. Portammo le donne italiane alla NATO, partecipammo a diverse audizioni in Camera e Senato…in realtà volevamo solo servire il nostro paese in modo diverso dalle donne che lavoravano in ambito civile. Volevamo fare qualcosa che in altri paesi era già consentito da diversi anni. Non è stato facile, ma dopo 10 anni di battaglie ce l’abbiamo fatta. Sono convinta che se non avessimo creato questo movimento saremmo arrivati ancora più tardi ad una simile conquista. La comunicazione non ci ha aiutato, se il nostro movimento fosse nato oggi sarebbe stato tutto molto più semplice.
Sono il social media manager dell’Aeronautica militare e so quale è la forza della comunicazione, soprattutto quella online.